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La terra dei Marsi

Lago Fucino

I Marsi (di origine Osco-Umbra) erano gli abitanti del territorio che nel medioevo si chiamava Marsi, come peraltro la città di Marruvium (nome latino dell’attuale S. Benedetto dei Marsi) si chiamava nel medioevo Marsi. I placiti dell’Imperatore Ottone, durante il 900 d.C., si tenevano in Campo Cedici in Marsi, per indicare la Marsica come territorio, e contemporaneamente la città di Marruvium, e contemporaneamente i suoi abitanti. È per questo motivo, ad esempio, che i decurioni illuminati di un piccolo comune marsicano hanno chiesto e ottenuto nel 1863, con decreto regio, il cambio di denominazione da Lecce dei Marsi a Lecce nei Marsi, fondendo in pratica i significati di popolazione e territorio.

I NATIVI ITALICI Vai all'indice

La primitiva identità degli Italici Fucensi, fiero popolo nativo dell’Italia centrale, insieme ai Sabino-Sabellici, Osci, Peligni, Vestini, Piceni ecc., accusa un duro colpo tre secoli avanti Cristo con l’arrivo in zona dei Romani, i quali, dopo aver tentato di sottomettere i popoli appenninici, rinunciano a combatterli per associarli, secondo la loro usanza. I Marsi, dapprima associati a Roma in una condizione di parziale sottomissione, all’inizio del primo secolo a.C. si ribellano e, insieme ad altri popoli italici, sotto la guida di Poppedio Silone, scatenano la Guerra Sociale ed infastidiscono a tal punto i Romani che li costringono a cedere loro la cittadinanza romana (“Nec sine marsis nec contra marsos triumphari posse”) verso la metà del primo secolo a.C.

I ROMANI Vai all'indice

Dopo la Guerra Sociale ha quindi inizio la “romanizzazione” del popolo Marso, che man mano viene integrato nei canoni politico-culturali di Roma. Dai centri fortificati montani (ocres, oppida e castella), essi scendono man mano i pendii per abitare più a valle, con i vici e i fundi, parlano in latino, praticano le abitudini romane con i commerci. I cacciatori e i raccoglitori diventano contadini, pescatori e pastori. I Marsi, abituati a vivere in luoghi parcellizzati rurali, conoscono per la prima volta, con i Municipia, il modello urbano, centro del potere politico-militare, e nel giro di un paio di generazioni acquistano, intorno al lago Fucino, un ovalone di 150 km 2 un nuovo modello culturale, sociale e linguistico.

Nel primo secolo d.C. Augusto divide l’Italia in dodici Provincie, di cui la quarta è il Sannio, il quale comprende, oltre le antiche genti di stirpe sannitica, marrucina e frentana, anche altri popoli di origIne sabellica: Marsi, Sabini, Peligni, Vestini, Equi, secondo Plinio Seniore “le genti più valorose d’Italia”. Secondo secondo lo stesso Plinio i Municipia Marsi sono essenzialmente tre: Marruvium (attuale S. Benedetto dei Marsi), Antinum (attuale Civita d’Antino) e Anxa-Angizia (attuale Luco dei Marsi). Versioni più recenti parlano di cinque Municipia inseriti nella IV Regione Augustea (Sabina et Samnium), i quali sono distribuiti nelle varie tribù presenti nelle sue subregioni (tribù Aniensis, Fabia, Sergia, Teretina e Romilia).

Nel successivo periodo imperiale la situazione si evolve, con lo sviluppo delle attività commerciali, ed i Marsi si distinguono per la loro intraprendenza e competitività soprattutto nel boom dell’edilizia urbana vieppiù crescente: mimando i romani le famiglie più ricche fanno a gara per chi erge monumenti ed edifici più sfarzosi, i santuari si moltiplicano e molti esponenti di famiglie marse iniziano ad occupare i seggi del senato di Roma, provenienti dalle varie città Marse. In primis la famiglia dei Vettii Scatones (che qualcuno ha indicato come i fondatori di Avezzano), i quali sono comunque presenti in zona già prima della Guerra Sociale e quindi in un certo senso esponenti di una aristocrazia locale; gli Octavii di Marruvium; i Titecii di Supinum (attuale Trasacco); Aulo Virgio Marso di Lycia (attuale Lecce nei Marsi), che ottiene per i suoi servizi militari molte onorificienze e donazioni di proprietà. In buona sostanza si evince che questo popolo, pur dotato di una notevole dose di resilienza, gradisca il modello di vita portato dai Romani.

I GOTI E I LONGOBARDI Vai all'indice

Ma l’impero è prossimo alla fine: a metà millennio, dopo i disastri bizantini, piomba il buio pressochè assoluto sulla Marsica, così come in molte parti della Penisola. L’Alto Medioevo è caratterizzato dapprima dalle distruzioni gotico-bizantine, quindi dall’invasione dei Longobardi (dei quali sussistono poche tracce nella Marsica), i quali restaurano il paganesimo nella regione. Dal VI secolo la “Terra dei Marsi”, inserita nella Provincia Valeria, è posta sui confini dei ducati Longobardi di Spoleto e Capua, con i loro gastaldati, fino alla metà del XII secolo: le notizie storiche di questo lunghissimo periodo ci verranno fornite soltanto dalle due espressioni del mondo cattolico: le dipendenze del vaticano (sede episcopale) e i monaci benedettini.

LA CHIESA E I MONACI BENEDETTINI Vai all'indice

Marruvium (attuale S. Benedetto dei Marsi, al tempo denominata Marsi o Civitas Marsicana) è l’unica sede episcopale rimasta fedele al Vaticano sopravvissuta ai Longobardi, con le sue quattro chiese di S. Sabina, S. Zenone, S. Cipriano e S. Anastasio, ed il suo papa Bonifacio IV, originario appunto di Marruvium, che rende celebre la Civitas Marsicana.

Per quanto riguarda i monaci benedettini, almeno fino all’inizio del 700 d.C., poco si conosce sulle loro prime presenze nella Marsica, a causa delle distruzioni operate prima dai Longobardi nel corso del VI secolo. Soltanto dopo la conversione dei Longobardi al cattolicesimo, nel corso dell’VIII secolo, i benedettini (cassinensi, volturnensi, di S.Angelo di Barregio, farfensi e sublacensi) prendono piede nella Marsica finora in preda alla restaurazione pagano-ariana e iniziano a diffondere il culto dei santi legati all’ortodossia cattolica (Restituta, Martino, Liberatore, Magno, Quirico ecc.) e dei martiri della restaurazione pagana (fra tutti Cesidio e Rufino). E’ questo il periodo in cui i Longobardi lasciano il testimone del potere ai Franchi: degli antichi Municipia romani restano soltanto Carseoli e Marruvium come centri amministrativi della nuova gastaldia dei Marsi, occupata dai Franchi con l’arrivo di Carlo Magno, che la annette al Ducato franco-longobardo di Spoleto nell’anno 774.

I FRANCHI E I CONTI DEI MARSI Vai all'indice

I Franchi però non riescono all’inizio ad esercitare un efficace potere politico nei territori meridionali, ed in particolare nelle regioni montagnose come la Marsica. Essi provano quindi a trasformare i vecchi gastaldati longobardi in contee autonome, nasce così la Contea dei Marsi, con il conte sottoposto comunque all’autorità del duca di Spoleto. D’ora in poi le documentazioni dei benedettini aumentano a dismisura e la storia della Marsica diviene meno nebulosa. I duchi di Spoleto iniziano una lunga teoria di concessioni ai vari abati benedettini che si succedono alla conduzione dei monasteri, concessioni che sono sempre più numerose a causa della sempre più frequente nomina dei duchi e degli abati imparentati fra di loro. E’ per questo motivo che i monasteri benedettini in questa epoca diventano centri di crescente potere economico e politico nello scenario storico dell’Italia centrale e quindi anche nella Marsica: il duca di Spoleto Ildebrando concede ai monaci di Montecassino sia la curtis di Paterno con i pescatori del lago Fucino, sia il porto dell’Arestina presso Venere di Pescina ed il centro di Aielli; lo stesso duca in seguito concede al Monastero di S.Maria in Apinianici (Pescina) possedimenti nella valle del Sagittario; ancora Montecassino riceve nell’818, direttamente dall’imperatore Ludovico il Pio, le chiese di Pescina, Paterno, Cerchio, Celano ed Albe. Il monastero di S.Angelo di Barregio (ora Villetta Barrea nell’alto Sangro) riceve, sempre dall’imperatore, le celle di Ortona dei Marsi, Venere di Pescina, Marruvium (ora S.Benedetto dei Marsi), Celano, Avezzano, Capistrello, Albe, Luco dei Marsi, Tagliacozzo, Carsoli, Civitella Roveto, Morino e Balsorano. I monaci di S.Vincenzo al Volturno ricevono da Spoleto possedimenti ad Ortona dei Marsi, Pescina, Venere, Casali d’Aschi, Roccavivi e Balsorano. Il monastero Farfense ha in pertinenza le chiese di Casali d’Aschi, Ortucchio, Trasacco, San Benedetto dei Marsi, Pescina, Cerchio, Collarmele, Celano, S.Potito. I sublacensi infine entrano in possesso delle terre e chiese in Carsoli, Oricola, Rocca di Botte, Camerata, Tufo,Verrecchie, Trasacco, Petrella Liri, Albe Avezzano e Balsorano. Ultimo, ma non l’ultimo, il monastero casauriense, con grandi possedimenti nella Marsica, oltre alla Civitas Marsicana (S.Benedetto dei Marsi), è presente in Pescina, Venere, Collarmele, Ortucchio, Casali d’Aschi, Lecce nei Marsi, Avezzano ed edifica monastero di S.Clemente in Calluco, sito tra Ortucchio, Lecce e Casali d’Aschi.

Tale formidabile presenza monastica, destinata ad influenzare fortemente la rinascita, viene rallentata molto presto dall’invasione dei Saraceni, che dall’anno 880 perpetrano saccheggi e distruzioni monastiche a scacchiera nel territorio dei Marsi, in primis la distruzione del monastero di S.Maria in Apinianici di Pescina, diretto (caso molto particolare) da una Badessa. Malgrado i gravi danni, l’evento permette lo sviluppo di una reazione positiva da parte di molti piccoli proprietari terrieri (boni homines), divenuti responsabili ed agguerriti grazie al gran numero di enfiteusi concesse loro dai benedettini in cambio di prestiti in denaro per ricostruire i monasteri distrutti. Tutto ciò mette comunque in evidenza la debolezza del potere imperiale centrale nel difendere la Marsica (che ora si identifica con la regione Valeria), lasciata in questo periodo in mano ai monaci, ai proprietari terrieri ed al debole gastaldato, divenuto contea senza infamia e senza lode, ancora legato ai Longobardi, mentre il duca ha già i suoi gravi problemi nello spoletino.

Il quadro storico marsicano rischia comunque di peggiorare dal punto di vista politico-economico e sociale. Sul piano politico, in particolare, il sistema carolingio che aveva all’inizio sostituito con più dinamicità quello longobardo, è a sua volta in crisi, rivelandosi incapace di difendere i suoi territori. Ciò determina una notevole frammentazione politica, con la nascita di piccole signorie locali, che però in molti casi si rivelano fragili di fronte ai saccheggi stranieri.

I BERARDI Vai all'indice

Il riscatto si configura con l’arrivo dei Berardi alla Contea dei Marsi.

Fino al 926 i gastaldi-conti dei Marsi, ancora sostanzialmente di origine longobarda, sono stati nominati dal duca di Spoleto, con risultati piuttosto mediocri, e la mancanza di degni rappresentanti del potere in un paese di frontiera importante come la Provincia Valeria fu avvertita dall’imperatore, il quali decide di cambiare le carte in tavola ed inviare in Italia nello stesso anno Ugo di Provenza, fresco di corona di Re d’Italia, per insediare il nuovo Conte dei Marsi Berardo il Francisco a capo del settore montano della Provincia, che comprende i cinque gastaldati Reatino (dove risiederà Berardo), Marsicano, Amiternino, Forconese e Valvense.

Berardo desideroso di costruire una propria realtà nella Marsica procede da subito nella riforma della zona, avviando la costruzione di un sistema di paesi-rocche, che posti in punti impervi della zona e in contatto visivo fra loro, devono riuscire a garantire la difesa del territorio e della popolazione. In questa fase l’area marsicana si rivela fragile a causa della sua frammentazione politica accentuata dalla morfologia del territorio che impedisce un reale controllo su esso. A ciò si aggiunge il lago che con le sue escrescenze continue contribuisce a rendere la situazione assai precaria. Tuttavia il sistema messo in piedi da Berardo si rivela valido. Egli ha il merito di riuscire a capire il territorio e di sfruttarlo come punto di forza e non di debolezza, come ad esempio lo stesso Lago Fucino, visto da Berardo come fonte di ricchezza per il suo pescato, e che come tale va difeso. Allo stesso tempo viene creato a partire dai boni homines un nuovo esercito locale, garanzia di difesa che porta l’area marsicana a divenire in poco tempo una vera fortezza, modello per altri territori.

La prima prova è data dall’invasione degli Ungari nel 937. Questa popolazione, proveniente dai Balcani, sulla scia delle altre popolazioni barbare, attratte dal clima favorevole e la posizione strategica dell’Italia, iniziano a compiere razzie, giungendo infine anche nel territorio marsicano. Qui arrivano dapprima nella Piana del Cavaliere, dove compiono diversi saccheggi e omicidi e infine penetrano nell’interno verso il Fucino. Gli stessi boni homines, formando un piccolo esercito, riescono a respingere l’invasione degli ungarici a Furca Ferrati (Forca Caruso)

Berardo da questa vittoria riesce a trarne vantaggi molto più grandi, poiché, attraverso una politica di grande equilibrio con il papato e il ducato di Spoleto, riesce a rendere la Marsica indipendente. Una indipendenza che non arriva subito e non viene ufficializzata da nessun proclama, ma si rende evidente nei nuovi rapporti fra il ducato di Spoleto e la Contea nei successivi quindici anni dalla vittoria di Forca Caruso. La Marsica finalmente intravvede nuovi orizzonti: i Berardi, già con il figlio del Francisco, Rainaldo, si trasferiscono da Rieti a Celano, che diventa la capitale dei Marsi, sono ben considerati dagli Ottoni imperatori che scendono più volte in Italia per i loro placiti, piazzano i loro parenti alla guida dei monasteri benedettini più importanti e soprattutto partecipano alla formazione della Diocesi dei Marsi, con Alberico direttamente nominato vescovo da Ottone I dopo aver defenestrato il vescovo nominato dal papa Giovanni XII. La Diocesi comprende tutto il territorio degli ex-municipia di Marruvium, Alba Fucens e Carseoli, nonchè tutti i territori di pertinenza del monastero di S.Angelo di Barregio in Alto Sangro. C’è di più: si deve ai conti dei Marsi l’inizio dell’incastellamento dei centri marsicani, coadiuvati dai boni homines e dai grandi monasteri benedettini.

I NORMANNI Vai all'indice

Ma nuove nubi all’orizzonte si ripresentano, sotto la forma dei Normanni, che già dall’XI secolo aumentano la loro pressione sulla Penisola: i Conti dei marsi resistono come possono, aumentando il loro peso con donazioni di territori alla Chiesa cattolica, ma alla fine, dopo qualche generazione, decidono di sottomettersi ai Normanni (1143) in cambio della concessione del proseguimento del loro potere sulla Marsica, che d’ora in poi farà parte del Regno di Sicilia: si avverte l’odore di un’altra formidabile svolta storica di questa regione senza pace. I Berardi Conti dei Marsi adottano la politica della resilienza e attendono tempi migliori, per cui dividono la contea in tre tronconi, onde aumentare il controllo sul territorio: le contee di Celano, Albe e Carsoli-Tagliacozzo). Le tre contee si dividono equamente le trenta e oltre universitas infeudate marsicane, come si evince dal Catalogus Baronum, assegnandole ai vari Baroni succedutisi all’epoca. Il cammino accidentato pare riprendersi, almeno fino al XIII secolo, quando gli Svevi della casata Hohenstaufen, di cui è rappresentante il grande Federico, si affacciano sul Mediterraneo.

GLI SVEVI Vai all'indice

All’inizio del XIII i conti Berardi di Celano sono quindi nuovamente in auge, prima con Pietro e poi con Tommaso, rappresentando la Marsica, il più importante feudo del Regno di Sicilia. Il Papa Innocenzo III li stima a tal punto che affida loro la reggenza del Regno in attesa che il giovane Federico di Svevia, erede legittimo e rappresentante dell’Impero, raggiunga l’età per diventare Re di Sicilia. Ma quando arriva il momento i Berardi, fedeli ai Normanni, non riconoscono l’autorità di Federico, ed inizia una guerra che scuote la Marsica dal 1221 al 1223, la quale in parte è fedele agli Svevi ed in parte ai Normanni. Tommaso conte di Celano, pur valoroso, è costretto ad arrendersi e ad assistere alla presa di Celano da parte degli Svevi, i quali per punizione deportano gran parte della popolazione in Sicilia e a Malta, deportazione che durerà quasi un cinquantennio, durante il quale i Berardi, pur di mantenere il potere, si arrangiano tenendo in piedi la parte della contea “fedele” agli Svevi, rimanendo così in gioco. Successivamente, con la morte di Federico e la subitanea successiva morte del figlio Corrado IV, assistiamo all’ascesa di Manfredi di Svevia, figlio di Federico, dapprima in veste di tutore degli interessi del minorenne nipote Corradino nel regno di Sicilia, e subito dopo nel ruolo di usurpatore. Manfredi sa però che il suo potere è vacillante e cerca di consolidarlo appoggiando la grande nobiltà: qui rientrano in gioco i Berardi, i quali, nella persona di Ruggero I conte del Molise, riprendono il controllo delle contee di Celano e Albe nel 1254.

Da qui in avanti i Berardi rimarranno fedeli agli Svevi ghibellini e Manfredi si può liberamente occupare di rafforzare il suo Regno in Italia, e lo fa talmente bene che il vaticano comincia a mal sopportare il suo potere ormai esteso a quasi tutta la Penisola. Nel 1261 viene eletto Papa Urbano IV, il quale pensa bene di rivolgersi agli Angioini francesi, nella persona di Carlo I d’Angiò, figlio cadetto del Re di Francia e Conte di Provenza (guelfo), chiedendogli di intervenire in Italia contro gli Svevi, promettendogli in cambio il Regno di Sicilia.

GLI ANGIOINI Vai all'indice

Carlo quindi si decide a scendere in Italia e, nel 1266, sconfigge a Benevento i ghibellini di Manfredi, che muore in battaglia. Il Regno di Sicilia passa così in mano a nuovi stranieri, ancora una volta grazie alle interferenze laterane.

Passano un paio di anni, durante i quali Carlo rafforza la sua usurpazione del trono di Sicilia, e gli Svevi, con Corradino sedicenne alla testa di un esercito acclamato durante il passaggio a Roma, affrontano gli Angioini proprio sui confini tra Italia del nord e Regno di Sicilia (Italia del sud): quei Piani Palentini che rappresentano la sponda occidentale del grande Lago Fucino, separati da esso solo dal crinale del piccolo Monte Salviano. La battaglia, esiziale, è denominata da Dante Alighieri “la battaglia di Tagliacozzo” e così è rimasta denominata nella Storia, anche se è stata combattuta ben distante da Tagliacozzo, che dai Piani Palentini dista una decina di chilometri, essendo invece Scurcola Marsicana il centro dominante i Piani. Carlo vince la battaglia, l’esercito di Corradino si disperde, lo stesso Corradino viene deportato a Roma e quindi decapitato tre mesi dopo. Carlo d’Angiò conferma il suo trono di Re di Sicilia e gli Svevi spariscono dallo scenario europeo.

L’evento bellico del 1268 è una pietra miliare per il futuro dell’Italia e dell’Europa: in Germania infatti l’estinzione degli Svevi favorisce l’ascesa al potere degli Asburgo, mentre in Italia, pur se non molto amato, l’Angiò inizia un epocale processo di rafforzamento del Regno di Sicilia, che diverrà, dopo molte vicissitudini, Regno di Napoli e successivamente Regno delle due Sicilie. La valenza storica della battaglia di Tagliacozzo è ingranata con la sua valenza politica. Da secoli, la Marsica (come l’Italia del resto) ha visto decrescere la propria importanza politica: fino al 1268 risulta essere solo parte del rifondato Sacro Romano Impero Germanico, devastata da continui eventi bellici e terremoti, che con sinistra cadenza ne tratteggiano i connotati. Papato e Impero si contendono il potere, ma tra i due litiganti si insinua come un cuneo l’appena nato Regno di Francia. Nasce l’Italia del Sud, dove la Marsica rappresenta il nord del sud ed il sud del nord, con il Papato a ovest…Una cosa è certa: dopo la battaglia è iniziata in Europa un’epoca di antagonismo franco-tedesco che sembra durare tuttora, così come ha avuto inizio una vera coscienza nazionale francese, mentre il popolo dei Marsi continua a dover difendere la propria identità culturale dallo straniero di turno.

Il primo pensiero di Carlo dopo la vittoria è quello di far erigere, a Scurcola, il monastero detto della Vittoria e quindi donarlo ai monaci cistercensi francesi. Il monastero otterrà in dote, nei prossimi due secoli, il possesso di parecchi paesi della Marsica, con i relativi benefici i diritti di pesca nel Lago Fucino. Egli, seguendo in qualche modo quanto fatto sessant’anni prima da Federico II, toglie ai Berardi il controllo delle contee abruzzesi di Celano e Albe e anche del Molise, quindi rade al suolo Pietraquaria ed Albe, capoluogo del potere dei Berardi, e danneggia gli altri paesi che hanno parteggiato per Corradino.

Tuttavia Ruggero Berardi riesce a tornare quattro anni dopo (1272) conte di Celano, dietro un forte riscatto in denaro versato a Carlo I. Questo consente ai Berardi di riedificare il loro potere e proseguirlo nel tempo, pur ridotto rispetto a prima. Ruggero, pur riottenendo Celano, viene privato di Albe e della contea del Molise.

Allo stesso tempo vengono apportate storiche modifiche al territorio abruzzese: Carlo, con il Diploma di Alife (1273) spazza via definitivamente i ducati longobardi con i loro gastaldati e formalizza il Giustizierato d’Abruzzo, creato a suo tempo da Federico, dividendolo, dal punto di vista amministrativo, in due provincie, i cui confini sono segnati dal corso del fiume Pescara, che attraversa l’Abruzzo da sud-ovest a nord-est. D’ora in poi si parlerà delle terre poste di là (ultra) del fiume Pescara, cioè Abruzzo Ulteriore (territori di Aquila, Teramo, Avezzano e Sulmona) e di qua (citra) del fiume Pescara, cioè Abruzzo Citeriore (Chieti e il Vasto-Lanciano). Questa suddivisione sopravviverà per secoli fino all’unificazione d’Italia del 1860, salvo una sotto-divisione dell’Abruzzo Ulteriore I (territorio di Teramo) e Ulteriore II (territorio di Aquila, Avezzano e Sulmona), avvenuta nel 1806 durante il decennio francese dei Bonaparte.

Quindi la Marsica è ricompresa adesso nella provincia Abruzzo Ulteriore, ed il potere locale si divide a triangolo tra i conti di Celano, che detengono gran parte della Marsica orientale, i monaci cistercensi di S. Maria della Vittoria, voluta da Carlo in persona, ed i parvenus Orsini, nuovi feudatari romani di diretta emissione papale, che si impossessano di Albe, Avezzano e territori limitrofi, ora contendendoli, ora condividendoli, con i conti di Celano, non contrari a matrimoni di convenienza. Il tutto sotto l’occhio sornione degli Angioini.

La Diocesi dei Marsi, sconvolta dagli scontri svevo-angioini e dallo scisma d’Occidente (1378), durante il secolo è divisa in tre Vicarie : Vicaria di Carsoli, Vicaria di Mezzo (Avezzano) e Vicaria di Celano, ognuna con le sue parrocchie. La sua influenza sul potere locale ancora stenta a decollare, tuttavia la sua presenza ci permette, con lo studio dei documenti dell’epoca (decime, sussidi e beni donati dai conti e dai feudatari), di venire a conoscenza di dati storici di un certo interesse: il Trecento marsicano, secolo sicuramente più pacifico del precedente, permette un certo sviluppo socio-economico della popolazione, ma è ancora legato all’economia agricola e della pesca, con uno scarso sviluppo dell’economia pastorale, rappresentata solo dalla transumanza verticale, la quale non permette logisticamente spostamenti di grandi armenti. In questo periodo, peraltro, si assiste al sempre più frequente spostamento a valle delle comunità finora incastellate e con la nascita de novo di borghi a fondovalle o sulle piccole colline di cintura, come aggregazione di casali e ville sparse sulla montagna (fenomeno del sinecismo), presupposto alla creazione degli attuali centri storici.

GLI ARAGONESI Vai all'indice

All’alba del XV secolo si assiste all’arrivo di altri feudatari romani, a seconda della famiglia del papa di turno: i Colonna, che si alternano agli Orsini ad Albe, ed i Piccolomini, che si alternano ai conti di Celano. Ma il vero evento di importanza epocale per la Marsica resta l’avvento degli Aragonesi al Regno di Napoli, con la cacciata di Renato d’Angiò da parte di Alfonso d’Aragona (1443). L’anno cruciale per la storia economica della Marsica resta il 1447, quando Alfonso istituisce la “Dogana della mena delle pecore in Puglia” (Regia Dohana), con l’apertura dei Tratturi, cioè le strade (sulle tracce delle antiche calles oviariae” romane) che portano innumerevoli greggi di ovini dall’Abruzzo impervio fino alle grandi spianate del Tavoliere, attraverso i passi molisani. La Marsica possiede due dei più grandi Regi Tratturi: il tratturo Celano-Foggia ed il tratturo Pescasseroli-Candela. Il primo raggiunge Sulmona per poi attraversare il Piano delle Cinque Miglia e raggiungere il Molise, provincia di Isernia, quindi di Campobasso e poi raggiungere Foggia. Il secondo, dopo il concentramento di ovini provenienti dai centri Fucensi orientali più importanti per numero di armenti (Lecce nei Marsi, Gioia, Bisegna, Aschi, Collelongo), si unisce sul Piano di Campomizzo (presso le sorgenti del Sangro) con le greggi di Pescasseroli, quindi si dirige, discendendo la Valle dell’alto Sangro fino ad Alfedena, verso il Molise, Isernia e Sepino fino a Candela. (oltre 200 Km), dove gli animali potranno passare la stagione invernale in un territorio ricco di pascoli e dal clima mite. In primavera i pastori rientrano ai propri paesi ricchi di denari per la vendita di prodotti caseari ed anche di molti capi ovini da macello, contribuendo alla crescita economica delle proprie comunità montane. Lo stesso fenomeno avviene, pur con ridotte dimensioni, per gli armenti transumanti dalla Marsica occidentale (Avezzano, Albe, Tagliacozzo) verso la pianura Laziale. Questi grandi movimenti di uomini e di animali rappresentano nel regno aragonese, in accordo con la nuova borghesia emergente ed i grandi feudatari e proprietari terrieri, l’inizio di una nuova ed incoraggiata economia, mal vista dagli agricoltori e dai pescatori, denominati dai potenti “terrazzani” e “sediziosi”, i quali si sentono defraudati da risorse, protezioni e territori, tanto da autodefinirsi “angariates homines”.

La transumanza caratterizzerà per quasi quattro secoli la storia marsicana, creando forti legami collettivi economici, sociali e culturali, che verranno trasmessi alle generazioni successive: in un recente saggio di fine ‘900 Raffaele Colapietra afferma che le ultime due-tre generazioni di notabili, professionisti e personaggi in vista nella vita pubblica, in sostanza l’attuale classe dirigente dell’Abruzzo Interno, sia costituita in maggioranza, se non quasi esclusivamente, dai discendenti dei pastori, divenuti nel tempo proprietari armentizi, i quali soli potevano permettersi di mantenere agli studi i propri discendenti.

Ma Il XV secolo porta altre novità nel territorio marsicano: gli Aragonesi insediano a S.Maria della Vittoria i benedettini a danno dei cistercensi francesi, e ciò dà inizio al declino del potere dell’Abbazia, che poco dopo viene gravemente danneggiata dal terremoto del 1456.

Nella prima parte del secolo si assiste anche all’estinzione della schiatta dei Berardi, che ha traghettato la Marsica attraverso secoli aspri e ostili. Iacovella, l’ultima dei Berardi, sposa nel 1424 Odoardo Colonna, complice il papa Martino V (al secolo Oddone Colonna), consegnando di fatto la contea di Celano alla potente famiglia romana. Per una trentina d’anni la contea di Celano viene quindi contesa e palleggiata tra i Colonna, gli Orsini e i Caldora molisani, a seconda del consorte di turno di Iacovella, mentre nel Regno imperversa la lotta tra Angioini ed Aragonesi. Iacovella tiene duro fino al 1463, quando il nuovo papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini) assegna al nipote Antonio la contea di Celano, che passa così in mano alla famiglia Piccolomini, di origine senese. Di fatto, del 400 la Marsica è divisa tra le tre famiglie: gli Orsini e i Colonna eternamente in lotta per le contee di Albe e Tagliacozzo, e i Piccolomini giunti di fresco all’altro lato del lago, i quali, consci dello stato pietoso in cui di nuovo si ritrova la Marsica, cercano di darsi da fare per migliorare le cose. Piccolomini restaura i castelli di Celano e di Ortucchio, che dominano sia il lago che i circostanti terreni agricoli. I due castelli, pur costruiti con verosimile intento difensivo verso aggressioni esterne, in realtà rappresentano, nella Marsica Orientale, uno spauracchio per intimorire e controllare la popolazione agricola e piscatoria del territorio (i nominati Terrazzani e Sediziosi), i quali, come già detto, non vedono di buon occhio la politica di incoraggiamento verso i pastori, intrapresa fin dall’inizio della transumanza in Puglia. Lo stesso fanno gli Orsini nei paesi al di qua del lago, in primis restaurando il castello di Avezzano, ma anche a Scurcola ed Oricola. In buona sostanza si ha nell’area fucense una sorta di dicotomia, in cui i conti di Albe-Tagliacozzo (Orsini o Colonna a intermittenza papale) indirizzano la loro politica armentaria controllando e proteggendo la transumanza verso il versante tirrenico, mentre i Piccolomini conti di Celano fanno lo stesso sul versante adriatico. Lo stesso Colapietra afferma che la costruzione (o restaurazione) di baluardi ad est e ad ovest del lago rappresenta un punto cruciale della storia della Marsica, la quale, nonostante le lotte politiche e dinastiche, la frammentazione feudale e le difficoltà di comunicazione, è rimasta culturalmente omogenea per secoli, ed ora viene a fronteggiare una rottura di unità culturale, in cui gli agricoltori ed i pescatori diventano le vittime della nuova politica economica armentaria dei grandi feudatari.

Va detto comunque che gli Orsini e i Colonna da un lato ed i Piccolomini dall’altro rivaleggiano nel portare aria nuova nella Marsica: i borghi vengono arricchiti, oltre che nelle opere difensive, soprattutto nell’architettura e nell’arte. A Celano dintorni le chiese si arricchiscono di affreschi tardogotici e neorinascimentali, con l’astro nascente Andrea De Litio di Lecce nei Marsi, il quale, prima di partire per l’Umbria e la Toscana per diventare Maestro, dipinge a Celano, ad Avezzano e forse a Tagliacozzo, dove intanto i Colonna restaurano il Palazzo Ducale e lo arricchiscono con opere d’arte pittorica. L’attività di edificazione artistica si incrementa in tutti i comuni, nei quali si può ancora oggi osservare numerosi edifici portanti gli stemmi delle famiglie: le mezzelune dei Piccolomini nella contea celanese, le rosette e le tre barre trasversali degli Orsini e la colonna dei Colonna nelle contee di Tagliacozzo ed Albe. L’economia fiorisce con i proventi della pesca sul lago, dell’agricoltura sulle sue sponde e soprattutto con la transumanza: le famiglie del potere investono soprattutto su quest’ultima opzione investendo molte risorse sulla sicurezza delle strade oviarie per tutto il loro tragitto fino in Puglia.

Durante questo importante secolo anche la Chiesa si muove, con la storica decisione di trasferire la sede diocesana dalla Civitas Marsicana (che ora, ridotta ad un paesello, si chiama S.Benedetto dei Marsi) a Pescina, dove rimarrà per cinque secoli, con la traslazione delle ossa di S.Berardo dalla chiesa di S.Sabina, ormai quasi abbandonata, a quella di S.Maria del Popolo, chiamata successivamente Chiesa di S.Berardo.

Il Medioevo si chiude quindi con la fine del potere della grande famiglia dei Berardi conti di Celano, spodestati dagli Orsini, dai Colonna e dai Piccolomini. I Colonna dal canto loro, spalleggiati dal Papa, riescono alla fine del secolo a cacciare definitivamente gli Orsini dalla Marsica, ottenendo le contee di Albe e Tagliacozzo, nonché le baronie di parte della Valle Roveto e del Carseolano, mentre i Piccolomini, spalleggiati dagli Aragonesi, controllano la contea di Celano e le baronie di Pescina e Balsorano. Tanto per cambiare la Marsica rimane zona di confine, ma almeno per un altro secolo godrà di sviluppo economico sociale privo di scossoni tellurici e militari.